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Il momento politico dell'Europa: tra Hamilton e Demostene *

22.10.2024
22/10/2024 Urbino
EEAS Press Team

Illustre Rettore dell’Università di Urbino, Illustre corpo docente, Autorità, care studentesse e cari studenti, 

Sono profondamente onorato di ricevere questo diploma di Dottorato Honoris Causa in "Studi Globali: Economia, Società e Diritto", in questa città, così carica di storia e di significato politico e culturale per l’Italia e per l’Europa.  Luogo definito da Federico da Montefeltro “Città ideale del Rinascimento”. Non potrei pensare ad un luogo più appropriato per un riconoscimento così prestigioso, per me, che ho sempre considerato l’Italia la mia patria di elezione. 

Ho conosciuto Urbino quando avevo circa 10 anni, leggendo romanzi storici sul Medioevo, sul Rinascimento, storie di castelli, di guerre di re e papi, storie di torture, assassinii e avvelenamenti. Storie dei Borgia e dei Medici. 

Ricordo ancora la passione con cui leggevo le imprese di capitani di ventura come Federico da Montefeltro, che amava l’arte e come bottino di guerra razziava libri per la sua biblioteca.  

Sono stato affascinato dalla storia tormentata dell’Italia del Rinascimento, epoca di straordinaria ricchezza culturale, di splendore delle arti come Urbino ancora oggi testimonia. Ma circa 70 anni dopo finalmente sono qui, nella Urbino della mia immaginazione. Una destinazione difficile da raggiungere. Ho viaggiato da Napoli, dove mi trovavo per il G7. E domani ripartirò da Bologna per andare a Parigi per discutere la situazione drammatica in Libano. 

Ieri ho visitato il Palazzo Ducale. Magnifico, ma quanto sangue versato per costruirlo.  

Sono qui nei miei ultimi giorni come Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell'Unione Europea. Cinque anni segnati da una quantità inenarrabile di sfide ogni giorno più impegnative. 

Se il lavoro dovesse essere giudicato in base all'impegno con cui viene intrapreso, io probabilmente meriterei un voto alto. Perché per cinque anni mi sono dedicato con tutto il mio impegno alla responsabilità di questo incarico. 

Ma se il lavoro dovesse essere giudicato dai suoi risultati, allora non sono sicuro che avrei superato l’esame, perché siamo ben lontani da ciò di cui abbiamo bisogno. Il mondo è oggi molto più difficile e non siamo più al sicuro. 

Aver ricoperto questo incarico è un'enorme lezione di umiltà, perché ci si rende conto di quanto sia difficile risolvere i gravi problemi che affliggono l'umanità. 

Certo, abbiamo avuto una rapida risposta di tipo “reattivo” per affrontare le crisi più urgenti come il Covid. Tuttavia, queste sfide hanno messo in luce una dura realtà: noi europei non eravamo pronti al ritorno della politica di potere e della guerra sul territorio europeo. 

Perché è successo?  

Perché il progetto europeo è stato costruito in antitesi all’idea di potere. Tuttavia, la rinuncia alla guerra è essa stessa in antitesi all’idea di potere. 

Le nazioni europee hanno trascorso secoli in guerra tra di loro: in nome della religione, in nome dell'orgoglio nazionale e della ricerca della supremazia. 

La storia d'Italia è stata anche una storia di guerre. l'Italia divisa era il campo di battaglia dove le grandi potenze – Francia, Spagna e Austria - combattevano le loro guerre. “E nelle divisioni”, come disse Francesco Guicciardini, “Franza o Spagna, purché se magna”. 

Lo sapete bene voi urbinati. Federico da Montefeltro fece la sua fortuna come capitano di ventura, era uomo di guerra ma anche di cultura. Veniva definito un “Condottiero". La storia delle guerre tra europei è anche in gran parte la storia di Urbino.  

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il più grande massacro tra europei nella storia, abbiamo detto: "Mai più". Mai più ci uccideremo l'un l'altro. Questo è stato un successo straordinario che non riconosciamo abbastanza. Abbiamo fatto la pace tra noi, e questo è straordinario, ma purtroppo la pace non è lo stato naturale delle cose. 

Nel 1956, quando avevo 10 anni e leggevo quei libri su Urbino, l’Europa poteva diventare il campo di battaglia di grandi potenze. 

Era il tempo della guerra fredda.  

Le guerre se possibile, sono meglio fredde.  

Era il periodo della repressione sovietica a Budapest, che dimostrò quanto la Russia fosse presente nell'Europa dell'Est e intendesse restarci, inclusa la Germania dell’Est, da cui non aveva alcuna intenzione di andarsene. 

Nello stesso anno la crisi di Suez dimostrò ai francesi che non erano più una potenza globale. 

Fu in quel momento che Germania e Francia capirono di dover collaborare. Ciò che ne seguì fu la creazione di quello che oggi chiamiamo Unione Europea. 

A poco a poco, ci siamo integrati sempre di più, condividendo quegli elementi che rendono possibile la guerra (come il carbone e l’acciaio).  

Abbiamo reso invisibili le nostre frontiere, così che oggi si possa viaggiare dalla Sicilia fino quasi al Polo Nord senza che nessuno ti possa legittimamente chiedere: “Chi sei? Dove stai andando?" 

Abbiamo deciso di condividere anche la stessa moneta, un altro simbolo centrale di sovranità. 

Oggi stiamo discutendo di come cooperare ulteriormente nel settore della difesa e mettere in comune le capacità militari dei nostri eserciti.  

Abbiamo sicuramente fatto grandi progressi. In Europa, siamo riusciti a combinare libertà politiche, progresso economico e coesione sociale meglio che in qualsiasi altra parte del mondo. 

Non siamo mai stati così vicini alle aspirazioni della "Città Ideale", metafora di una società ordinata e libera. E allo stesso tempo siamo ancora lontani dal realizzarla. Pero’ possiamo essere orgogliosi di vivere in una società che combina questi tre valori fondamentali: libertà politiche, che spesso diamo per scontate; progresso economico, senza il quale la libertà è una parola vuota; e coesione sociale, senza la quale non si può garantire la propria sicurezza, perché questa dipende dal benessere dei propri vicini.  

Il mondo dove viviamo è duro, difficile e crudele. Per risolvere i conflitti si fa sempre più ricorso alla forza, con persone disperate che fuggono dalle guerre e da situazioni pericolose per la loro vita. 

Il cambiamento climatico sta spingendo decine di migliaia di persone fuori dall'Africa sub-sahariana e dall’Asia: i campi profughi in Sudan, Etiopia e nel Sud-est asiatico sono al collasso. Milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina e il Venezuela. Dobbiamo essere consapevoli della realtà del mondo in cui viviamo. 

Per sopravvivere in questo mondo, il livello di integrazione che abbiamo raggiunto nella nostra Unione è insufficiente. Abbiamo bisogno di maggiore unità. 

Uno dei nostri padri fondatori ha detto: "L'Europa sarà la risposta che saprà dare alle crisi che dovrà affrontare”. 

È vero: l'Unione Europea è stata costruita come reazione. D'ora in avanti, non possiamo più essere solo reattivi, dobbiamo essere propositivi. Questo è il compito per voi, le nuove generazioni. 

Tuttavia, per avanzare in un mondo così conflittuale e interconnesso, dobbiamo comprendere un dato di fatto essenziale: la prosperità e la sicurezza degli altri sono essenziali per la nostra stessa prosperità e sicurezza. 

Oggi l'Europa sta attraversando un duplice momento, che possiamo chiamare hamiltoniano.  

Come sapete, Alexander Hamilton fu il primo Segretario al Tesoro degli Stati Uniti nel 1789. Non era un uomo bianco anglosassone, ma aveva origini etniche miste, provenendo da un’isola dei Caraibi, era molto povero e diventò uno dei grandi creatori degli Stati Uniti.  

La sua idea geniale fu di mutualizzare il debito degli Stati Confederati. Diceva: "Tutti abbiamo contribuito alla lotta per l'indipendenza, alcuni più, altri meno. Alcuni hanno versato più sangue e perso più vite, altri hanno contribuito con più denaro. Non possiamo riportare indietro i morti, ma possiamo condividere l'onere fiscale che abbiamo generato tutti insieme." E in questo modo inventò il debito pubblico federale.  

Io credo che sia quello il momento in cui sono nati gli Stati Uniti d’America. 

Ma la sua idea geniale non fu solo la mutualizzazione del debito, cosa relativamente semplice. Geniale fu creare tasse federali per ripagare quel debito. 

Contrarre debito è relativamente facile. Pagare le tasse per ripagarlo è molto più difficile. oggi il debito pubblico statunitense è un riferimento finanziario globale. E tutto questo si deve alla volontà politica di qualcuno che disse: “se stiamo insieme, dobbiamo creare legami che ci uniscano avere risorse per agire insieme”. 

In Europa, le risorse per agire insieme rappresentano oggi solo l'1% del nostro Prodotto Interno Lordo insieme. Possiamo, con l'1% del PIL, affrontare i costi del cambiamento climatico, della difesa, delle rivoluzioni tecnologiche e della rivoluzione digitale? Ne dubito. 

Certo, ogni stato lo fa per conto suo, ma alcune cose è meglio farle insieme, questa e’ la ragione per cui l’Europa esiste, perché alcuni problemi non conoscono frontiere. 

Ma la grande domanda è: “Possiamo ottenere risorse da un debito comune?”. Finora la risposta è stata “no”. Poi è arrivata la pandemia del Covid-19, che ha così duramente colpito i nostri paesi,  che ha cambiato tutto. Abbiamo infranto il tabù. Abbiamo emesso debito comune per affrontare un problema comune. È stato fatto, e può essere fatto di nuovo! 

I lavori e le opere del vostro Palazzo Ducale sono stati finanziati da un debito comune. 

Possiamo pensare al debito come un modo per anticipare i tempi, trovando le risorse per affrontare le sfide che abbiamo oggi. Cosa preferirà vostro nipote? Un mondo più sicuro e meno caldo anche se con più debito? Un'Europa capace di giocare un ruolo geopolitico e di sedere al tavolo delle trattative, o un’Europa che guarda dalla finestra decisioni prese da altri? Queste sono le questioni esistenziali del nostro momento hamiltoniano. 

Ma c’é anche un altro modo per descrivere il nostro tempo: un momento demostenico. Il filosofo greco Demostene avvertí gli ateniesi del pericolo imminente che proveniva da Sparta, la città antagonista che cercava di affermarsi contro Atene. Li esortò ad armarsi per affrontarla. 

Per Demostene finì male: si suicidò e Atene fu occupata da Sparta.  

Oggi, il momento demostenico dell'Europa sta nella consapevolezza dei rischi che corriamo e nel modo in cui ci prepariamo ad affrontarli. 

Alcuni dicono che se ci armiamo per evitare la guerra, finiremo per farla. Ma se non si è abbastanza forti, si possono scatenare le ambizioni di dominio di qualcuno più forte di noi. 

Due settimane prima che la Russia sferrasse l’attacco su larga scala all’Ucraina, ero nel Donbas dove c’era già la guerra, ma  i tamburi di una guerra più grande rullavano già.  

Il Primo Ministro ucraino mi disse: “Ci attaccheranno. Quando lo faranno, cosa farete? Sappiamo che non verrete a morire per noi, né ve lo chiediamo, ma ci darete le armi necessarie per difenderci dall'invasione?”. 

In quel momento, non seppi come rispondere perché non avevo la certezza che l'Europa lo avrebbe fatto.  

Eppure, abbiamo infranto il tabù che diceva: “Non puoi spendere per armare un paese in guerra.” Beh, l'abbiamo fatto, e continuiamo a farlo. 

Fornendo non solo armi, ma anche tutto l'aiuto necessario affinché l'Ucraina possa sopravvivere. Alcuni sostengono che l'assistenza militare prolunghi la guerra. Questo è un dato di fatto: naturalmente l'assistenza militare prolunga la guerra. Se non ricevesse assistenza militare, l'Ucraina sarebbe costretta ad arrendersi in poche settimane. 

Se smettessimo di aiutare, entro due settimane la Russia sarebbe a Kiev, con un governo fantoccio e la società ucraina sarebbe schiacciata come in Bielorussia.  

Ovviamente, voglio che la guerra finisca. E nessuno lo desidera più degli ucraini. Ma a coloro che chiedono di porre fine alla guerra a qualunque costo, vorrei chiedere: Cosa succede dopo?  

Perché, se non spiegano come l’Ucraina possa sopravvivere come paese libero, la loro richiesta di pace non risolve il problema. 

Naturalmente, tutte le guerre finiscono con dei negoziati. Ecco perché dobbiamo fare tutto il possibile per costringere Putin al tavolo delle trattative. Tuttavia Putin non sarà costretto a sedersi al tavolo delle trattative se l'Ucraina non prevarrà sul campo di battaglia. E questo dipende molto da noi.  

Oltre all’Ucraina, l’altro fronte drammatico è quello del Medio Oriente e del conflitto in corso tra Israele e Palestina. 

È una terribile lotta tra due popoli sulla stessa terra, un conflitto che dura da oltre cento anni. Un conflitto in cui noi europei abbiamo una responsabilità chiarissima perché abbiamo promesso quella terra a due popoli allo stesso tempo. 

Pensavamo che con la globalizzazione la geografia non contasse più.  

La realtà è che i popoli combattono ancora per la propria terra. Per molti israeliani, la Cisgiordania si chiama ancora Giudea e Samaria, come nella Bibbia. Il che ovviamente non può essere una ragione per giustificare le strutture politiche di oggi . Altrimenti, tutto questo dove ci porterebbe? 

Ma io non mi occupo di teologia, ma di diritto internazionale e rapporti di forza.  

È vero che abbiamo promesso un “foyer national”, una Patria per il popolo ebraico, costruita su una terra che non era vuota, ma era abitata da un altro popolo.  

Le Nazione Unite riconoscono che l’occupazione della Cisgiordania è illegale. Ma le Nazioni Unita disgraziatamente non hanno il potere coercitivo per porre a termine quest’occupazione. 

L’attacco terroristico di Hamas è stato un orrore ingiustificato che condanniamo. Al tempo stesso la risposta militare a Gaza è un altro orrore.  

Ciò che sta accadendo a Gaza può essere giustificato dal punto di vista del diritto di Israele di difendersi da un attacco terroristico, un diritto alla difesa che certamente ha?  

Diversi paesi europei risponderanno a questa domanda sul diritto di difesa in modo diverso. Io penso di no.  

Un orrore non ne giustifica un altro.  

La distruzione totale di Gaza e la sofferenza di centinaia di migliaia di persone non giustificano il diritto di difesa, che è basato anche sull’idea di proporzionalità.     

Tutti i diritti hanno dei limiti e il diritto alla difesa non fa eccezione. In questo caso il limite è il diritto internazionale umanitario. Il ministro della Difesa israeliano Gallant ha detto: "Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza”.  

Questo è ciò che sta accadendo. Senza alcun dubbio, una violazione del diritto internazionale umanitario. Ma ancora una volta, non esiste una posizione dell’UE al riguardo. 

Ciò che sta succedendo metterà in dubbio il valore che ha il diritto internazionale umanitarie e la carta della Corte Penale Internazionale.   

Stiamo vivendo una situazione drammatica e terribile in Medio Oriente. Il Libano rischia di diventare un'altra Gaza. Siamo sull'orlo di una guerra regionale che potrebbe coinvolgere l'Iran e avere conseguenze drammatiche per tutti noi. 

L’attacco senza precedenti di Israele alle basi UNIFIL nel sud del Libano, che hanno una componente valorosa di militari italiani, è inaccettabile como sono inaccettabili gli attacchi al sistema delle Nazioni Unite, al suo Segretario Generale all’agenzia UNRWA.  

Sono convinto che l’Europa debba fare di più, e non solo in aiuti umanitari. Certamente gli aiuti umanitari sono fondamentali a Gaza dove la situazione è intollerabile. 

Anche la Vicepresidente americana Kamala Harris ha recentemente dichiarato: “Nessun aiuto alimentare è entrato nel nord di Gaza da quasi due settimane.” Quasi tutta la popolazione di Gaza è sfollata e malnutrita, l'accesso umanitario ha raggiunto un nuovo minimo storico, la fame e le malattie si stanno diffondendo rapidamente. 

Ciò che ora è più urgente è un cessate il fuoco e il ritorno ad un processo politico, sia a Gaza, sia in Libano. 

Nessuna azione militare porterà la stabilità alle popolazioni della regione. Solo un accordo politico fra le parti porterà sicurezza e pace e quest’accordo passa per garantire la sicurezza di Israele e allo stesso tempo permettere la costruzione dello stato palestinese. Ciò lo diciamo da 30 anni, il Primo Ministro Israeliano Rabin, che cercò di farlo fu assassinato da un colono israeliano.  

Parliamo ogni giorno della costruzione di uno stato palestinese. Ma non facciamo abbastanza affinché si realizzi.   

L'Europa ha una responsabilità storica e un interesse evidente nello svolgere un ruolo attivo in questo conflitto, accompagnando palestinesi e israeliani a passare dal rifiuto reciproco al riconoscimento reciproco.  

Purtroppo, a causa della mancanza di unità degli Stati Membri dell’Unione europea su questa questione, siamo stati in gran parte incapaci di influenzare il corso degli eventi in Medio Oriente. 

Questi sono i tanti problemi che l'Europa deve affrontare. Ma di cosa ha bisogno l'Europa per affrontarli? 

1) Più risorse 

Quanto costa aumentare la nostra capacità di difesa? Mario Draghi ha stimato non meno di 500 miliardi di euro in più nel prossimo decennio, perché i nostri eserciti sono ridotti all'osso. Hanno esaurito le scorte di munizioni per aiutare l'Ucraina.  

Non abbiamo la capacità militare che dovremmo avere. Dal 2008, l'Europa ha ridotto silenziosamente la capacità dei propri eserciti e dell’industria militare.  

Quanto costa rafforzare i nostri eserciti?  

Quanto costa combattere il cambiamento climatico? 

Quanto costa affrontare la sfida digitale? 

Quanto costa rafforzare la coesione delle nostre società? 

Quanto costa stare al passo con la sfida tecnologica in un mondo dove Cina e Stati Uniti sono molto più avanti di noi? 

Tutte queste sfide costano molto di più di quanto l'1% del nostro PIL possa coprire, ed è per questo che l'Europa di domani richiederà il mettere in comune più risorse in stile hamiltoniano. 

Naturalmente ogni stato europeo può rispondere a queste domande individualmente. Tuttavia, la frammentazione come era per l’Italia nel medioevo non permette di dare risposte efficienti. Quanto vogliamo fare insieme? Solo l'1%? Sicuramente non è sufficiente. 

Amministrare a livello europeo più risorse richiede rafforzare l’integrazione politica. Entrambe i processi interagiscono tra di loro.  

2) Più unità 

Abbiamo bisogno di più unità. I procedimenti devono essere più efficienti.  

In politica estera per una decisione serve l’unanimità. Sapete cosa significa ottenere l’unanimità tra 27 paesi? Immagino che molti di voi facciate parte di un'associazione studentesca. Immaginate di dover decidere tutto all'unanimità. 

E ci sono altri 10 paesi in attesa di unirsi all'Unione europea. Quando saremo 37 invece di 27, decideremo ancora all'unanimità? Spero di no. L’unanimità non è il modo per costruire una comunità politica. 

Bisogna poter fare accordi, e coloro che dissentono devono cercare un modo per far parte dell’accordo o restare nel loro angolo, lasciando che gli altri vadano avanti. Ma se tutti sanno che senza il consenso di chi dissente non c'è accordo, rimarranno nei loro angoli, aspettando che qualcuno compri il loro voto o che si offra loro qualcosa che spesso non ha niente a che vedere con ciò di cui si sta discutendo. 

3) Una visione strategica per il futuro 

Infine, dobbiamo avere una visione strategica per il futuro. Questa visione si potrà costruire solo partendo dalla consapevolezza di quale Europa si vuole creare. Un’ Europa di pace e prosperità.  

In questa vostra bella terra mi piace ricordare che per Dante, la pace è la precondizione che assicura la piena realizzazione delle facoltà umane e lo sviluppo dell'intelligenza.   

Ecco perché programmi di studio come il vostro sono così importanti. 

Come disse Massimo d’Azeglio: “Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani ”.  E adesso che abbiamo fatto l’Europa bisogna fare gli europei. 

Affinché l’Europa non sia solo una bella partitura di Beethoven, un patrimonio culturale e artistico da ammirare, e un’istituzione di cui non si capisce bene il funzionamento. 

Chi è capace di spiegare la differenza tra il Consiglio d’Europa, il Consiglio dell’Unione Europea, il Consiglio Europeo e la Commissione Europea? 

Chi sa chi è veramente il Presidente d’Europa? Non c’è un Presidente d’Europa, benché a qualcuno piaccia l’idea di esserlo, non esiste la figura del Presidente d’Europa, ogni stato membro ha un suo Presidente, ma l’Europa non è uno stato. 

I fantasmi di Hamilton e Demostene sono qui, e sono esempi dal passato che si applicano perfettamente al presente: che tipo di Europa vogliamo? 

Permettetemi di dirvi una sola cosa: siamo il 5% della popolazione mondiale, solo il 5%!  

Abbiamo un’età media molto alta e una forte dipendenza—cinquant’anni fa era la grande crisi del petrolio arabo, ora la dipendenza dal gas russo e dalle materie prime critiche, essenziali per la trasformazione verde e digitale. 

L'Europa non ha futuro se si chiude in sé stessa e cerca di costruire muri abbastanza alti da proteggersi dal resto del mondo. 

L'Europa deve essere impegnata e aperta, consapevole delle sue responsabilità storiche, delle sue capacità e della necessità di partecipare alla costruzione di un mondo in cui le libertà politiche, la prosperità economica e la coesione sociale diventino sempre più le chiavi per il futuro. 

Il sogno di un’Europa federalista, oggi potremmo dire un’Europa unita, fu di Altiero Spinelli, che durante la seconda guerra mondiale fu confinato a Ventotene e scrisse il ‘Manifesto per l’Europa’, la sua ricetta per un’Europa unita. Abbiamo fatto grandi passi, ma il traguardo che lui ha segnato è ancora lontano. Spero che voi, giovani generazioni, possiate continuare il cammino fino alla meta. 

Grazie. 

*Text for the Lectio Magistralis of the HR/VP Josep Borrell at the University of Urbino